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Le dimensioni della povertà.

Alcune riflessioni sulla statistica ufficiale riguardante la situazione reddituale e lavorativa delle famiglie.

di Barbara G.V. Lattanzi


“Se tre milioni vi sembran pochi” è il titolo di un celebre saggio1 del compianto professor Luciano Gallino uscito nel corso dell’ultimo decennio dello scorso secolo.

Questo numero era riferito alla quantità di persone in età e condizione attiva senza lavoro nell’Italia alla fine degli anni 90. Ora, a distanza di una ventina di anni, quel dato non è migliorato2, ciò che invece appare nettamente diverso, sono il dibattito e gli interventi sul tema della disoccupazione involontaria.


Leggendo il saggio di Gallino si nota come, al pari di molti altri studi, siano dati per scontati l’intreccio e la parziale sovrapposizione di due concetti non necessariamente sempre interrelati: quello di povertà e quello di disoccupazione, essendo nel nostro sistema il lavoro (sia dipendente che autonomo o imprenditoriale) considerato la fonte primaria di reddito e sostentamento per la maggior parte delle persone. Ciò è particolarmente importante se parliamo di disoccupazione involontaria distinguendo le persone in condizioni di disagio occupazionale dagli inattivi o da coloro che, per svariati motivi, non sono pronti a iniziare un’attività retribuita. Il giusto presupposto a questa assimilazione tra povertà e disoccupazione involontaria si pone in questi termini: chi vive un disagio economico è spinto a trovare una soluzione con la ricerca di un reddito da lavoro.


Nelle pagine che seguono, saranno analizzati i concetti di povertà e mancanza di occupazione alla luce delle strategie messe in campo negli ultimi anni per far fronte unitamente alla disoccupazione e alla povertà, dando per scontato una sovrapposizione che appare invece problematica anche alla luce del calo dei salari reali e sottoccupazione (in work poverty) e, dal lato opposto, all’esigenza personale di una realizzazione professionale a cui tutti, non solo coloro che vivono un immediato disagio economico, dovrebbero poter accedere. A questo riguardo sarà esposto il sistema della statistica pubblica, sia di tipo descrittivo derivante dalle rilevazioni e dalle ricerche delle fonti ufficiali nazionali e europee, sia il sistema integrato dei dati delle pubbliche amministrazioni riguardo alle tematiche dell’occupazione e della povertà e le ricadute sulle azioni di governance sull’attività legislativa e sulla vita concreta dei cittadini.


1) L. Gallino, Se tre milioni vi sembran pochi: sui modi per combattere la disoccupazione; Einaudi, 1998

2) Istat, Rilevazione sulle forze di lavoro 2018 e 2019




1. Gli indicatori della povertà

La prima domanda che sorge, riflettendo sui concetti di povertà e disoccupazione, riguarda i criteri per identificare la dimensione quantitativa dei fenomeni. In altre parole, la definizione di povertà e disoccupazione, concetti non semplici perché non chiaramente circoscritti, tanto da aver generato, nella statistica pubblica fruita dai legislatori, complementi oggetti quali “assoluto” e “relativo” con riferimento alla partecipazione ai consumi secondo un paniere aggiornato in considerazione dei moderni bisogni tecnologici e strumentali e i prezzi al consumo, che possono essere variabili. Nel 2018 il parlamento appena insediato propose una riforma, forte di un dato statistico allarmante: cinque milioni di individui, corrispondenti a quasi due milioni di famiglie, risultavano in povertà assoluta con picchi percentuali per regioni quali Campania, Calabria, Sardegna e Sicilia, i valori più alti della serie storica che prende avvio dal 2005. A testimoniare l’aumento negli anni di questa emergenza anche il dato relativo all’età degli individui e delle famiglie: la povertà è chiaramente più incidente nelle fasce di età più giovanili. La soglia della povertà assoluta veniva individuata dall’Istituto Nazionale di Statistica nell’ammontare 834,66 euro mensili di reddito per chi risiede in un’area metropolitana del Nord, 749,67 euro se vive in un piccolo comune settentrionale, a 563,77 euro per i residenti in un piccolo comune del Mezzogiorno. La povertà relativa al contrario si attestava a un valore di quasi nove milioni di individui3.


L’unità di riferimento è la famiglia e il paniere si rapporta ai bisogni essenziali per la soglia di povertà relativa e a ulteriori disponibilità necessarie per un’integrazione socio-relazionale, culturale e partecipativa4.

La rilevazione Eurostat sulle persone a rischio di povertà ed esclusione sociale (People at risk of poverty or social exclusion5) si basa su tre indicatori:

  • il primo indicatore è il reddito familiare per componente (indicatore di reddito monetario);

  • il secondo indicatore si basa sulla deprivazione materiale (persone che non dispongono di beni o strumenti sufficienti a condurre una vita sana e ad accedere a servizi che consentano un’inclusione sociale e culturale);

  • il terzo riguarda l’intensità di lavoro su base familiare, considerando i componenti attivi e non impegnati in percorsi di studio tra i 18 e i 59 anni che hanno lavorato in media il 20% di quello che avrebbero potuto nell’anno precedente (questa descrizione poco univoca risente della difficoltà di individuare un parametro comune per le varie categorie e fasce di popolazione in paesi con normative differenti riguardo ai contratti e alla durata della giornata lavorativa).

Come si può vedere il lavoro e il disagio occupazionale tornano ad avere un forte peso sul calcolo e sulla definizione della soglia di povertà.


3) Istat, La povertà in Italia 2018

4) Il valore può essere calcolato per qualsiasi famiglia all’indirizzo: https://www.istat.it/it/dati-analisi-eprodotti/contenutiinterattivi/soglia-di-poverta

5) https://ec.europa.eu/eurostat/web/products-datasets/-/t2020_50&lang=en





2. Gli indicatori del lavoro

La prima e maggiore fonte ufficiale statistica per gli indici sintetici sull’occupazione è la Rilevazione Continua sulle Forze di Lavoro6, indagine campionaria continua condotta da Istat secondo uno standard condiviso dagli altri paesi europei per il confronto transnazionale degli indici. Le definizioni e le direttive operative sono infatti di origine europea7 e adottati da tutti i paesi dell’Unione.


Tale fonte distingue la popolazione attiva occupata o occupabile (forze di lavoro) in occupati e in cerca di occupazione, individuando i primi secondo un criterio che può essere oggetto di discussione. Sono infatti compresi tra gli occupati coloro che hanno svolto anche solo un’ora di lavoro retribuito nella settimana precedente all’intervista.

L’indicatore appare eccessivamente inclusivo e scarsamente discriminante, finendo con il fallire il compito di tracciare una linea di demarcazione tra coloro che cercano un’occupazione e coloro che la hanno già8. La decisione di adottarlo dovrebbe essere compresa all’interno di un trend di decisioni politiche ed economiche quasi egemonico9 una ventina di anni fa che, invece di analizzare l’emergere della gig-economy10 e un’economia in parte sommersa con occhio critico e riflettendo sulle conseguenze sociali e economiche, ne sanciva l’ineluttabilità con l’introduzione di criteri di analisi non in linea con le reali condizioni occupazionali degli intervistati né con i dati in possesso degli istituti di previdenza. Una recente analisi mostra come la mancata riflessione su ciò che significhi realmente possedere un’occupazione e la confusione tra occupati, sottoccupati e precari abbia contribuito all’emergere e alla continua crescita del dato allarmante dei working poor nel dibattito scientifico e politico degli ultimi anni11.


La II Commissione Istruttoria per le Politiche Sociali e Sviluppo Sostenibile, nel documento Osservazioni e Proposte sul tema "Povertà, disuguaglianze e inclusione" del 201812 evidenziava un aumento della povertà sia relativa che assoluta unitamente a un aumento delle disuguaglianze, con forti squilibri nella distribuzione dei redditi, differenze territoriali persistenti malgrado, a seguito della crisi iniziata dieci anni fa, sacche di povertà siano comparse anche in zone precedentemente poco a rischio come il centro nord.

Lo stesso documento, nell’analizzare i dati forniti da ISTAT, distingue una forte penalizzazione delle fasce giovanili della popolazione, delle famiglie numerose specialmente in presenza di membri in età attiva con bassa scolarizzazione. Tra i fattori indubbiamente incisivi nel determinare situazioni di fragilità economica, un ruolo importante è attribuito alla bassa intensità lavorativa familiare, costituita dalla presenza di disoccupati e sottoccupati in famiglia. La bassa intensità lavorativa è uno dei tre indicatori di povertà familiare per Eurostat13. L’emergere della precarietà e sottoccupazione, dovute ad alcune riforme del mercato del lavoro non adeguatamente bilanciate da forme di welfare dedicate alla popolazione attiva (workfare) ha nel tempo determinato una situazione di tendenziale fragilità economica anche nei lavoratori, spingendo ricercatori e istituzioni a dedicare attenzione particolare al fenomeno della in work poverty o dei working poor (lavoratori poveri). Questa crescente problematicità si mostra nella maggior parte del mondo avanzato con delle differenze dovute a squilibri nelle politiche di welfare e nell’implementazione delle politiche attive del lavoro che dovrebbero favorire l’ingresso dei disoccupati e delle persone in cerca di prima occupazione nel mondo del lavoro.

Per ovviare alla scarsa rappresentatività del fenomeno insita nelle definizioni operative della Rilevazione Continua sulle Forze di Lavoro, Eurostat e gli Istituti nazionali di statistica dei paesi membri hanno introdotto nel 2011 altri tre indicatori che segmentano il campione in maniera più significativa aggiungendo ai tre cluster (occupati, inoccupati e disoccupati) le “forze di lavoro potenziali” (inattivi attivabili) e i “sottoccupati part time”14.


6) Istat, Rilevazione sulle forze di lavoro, informazioni sulla rilevazione https://www.istat.it/it/archivio/8263

7) https://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2000:228:0018:0021:EN:PDF

8) Per un’analisi e critica dettagliata a questo approccio metodologico cfr. Viviano, Elena, “Un’analisi critica

delle definizioni di disoccupazione e partecipazione in Italia” Banca d'Italia, 2002

9) Jesus Ferreiro, Carmen Gómez “Labour Market Flexibility, Employment and Unemployment in Europe”

FMM Working Paper, Nr. 31. 2018 pag. 3-8

10) Un’interessante analisi di carattere socio-antropologico delle conseguenze della gig-economy è il saggio

Psicopolitica. Il neoliberismo e le nuove tecniche del potere del filosofo Byung-Chul Han, che non perde l’occasione di gettare uno sguardo critico sull’utilizzo dei big data e sulla rinnovata fiducia nei prodotti della

statistica che considera frutto di un tipo di razionalità neo-illuminista funzionale al sistema di sfruttamento

della presente epoca

11) A.A.V.V., In-work poverty in Italy - EUROPEAN SOCIAL POLICY NETWORK (ESPN) 2018 in https://ec.europa.eu/social/home.jsp?langId=en, pag. 4.

12) Documento approvato il 08/11/2018; relatore: Fracassi. Il documento è disponibile nel sito www.cnel.it

13) https://ec.europa.eu/eurostat/web/products-datasets/-/t2020_50&lang=en

14) Fonte: https://www.istat.it








3. La statistica amministrativa

L’insieme dei dati in possesso della pubblica amministrazione fotografa la situazione reale in maniera censuaria, ma solo in riferimento alle procedure amministrative, registrazione dei bacini di utenza e erogazione di servizi. I dati possono essere considerati più attendibili rispetto alle indagini campionarie perché mostrano effettivamente ciò che la stessa pubblica amministrazione attua: l’Inps è di sicuro in possesso del dato certo e senza margine di errore delle pensioni degli italiani perché esse sono erogate dallo stesso ente. In questo senso possiamo dire che enti e pubbliche amministrazioni spesso non rilevano i fenomeni ma li creano. Secondo una razionalità strumentale, i dati da essi comunicati riguardano la loro operatività che definisce così i soggetti registrati come coinvolti in una procedura o beneficiari di un servizio15.


Gli enti pubblici nazionali e locali sono parte del SISTAN (sistema statistico nazionale) e i dati da loro forniti “costruiscono” dataset operativi che segmentano la popolazione in bacini di utenza detentori di una serie di diritti e doveri. Il SISTAN16 integra i big data delle pubbliche amministrazioni con i dati ISTAT proponendo quindi un sistema unico e facilmente usufruibile.


Per quanto riguarda i dati sull’occupazione e povertà si fa riferimento alle comunicazioni obbligatorie su assunzioni e cessazioni inviate a Inps e corredate dal livello di inquadramento, tipo di contratto, mansioni svolte e retribuzione oltre, ovviamente ai servizi pensionistici e altri tipi di trattamenti da esso erogati (compresi i sostegni al reddito e altri sussidi welfare tra cui cassa integrazione straordinaria o ordinaria, reddito di cittadinanza, ecc.). L’agenzia delle entrate registra i redditi imponibili e i comuni lo stato patrimoniale immobiliare utili nella definizione dell’Isee, il parametro sintetico di capacità economico patrimoniale che definisce lo stato di indigenza ai fini della richiesta di servizi.

E’ evidente come queste banche dati possiedano solo i dati ufficiali al netto del sommerso, che può comunque essere da esse stimato per mezzo degli “studi di settore” che incrociano i dati di entrate dichiarate e spese sostenute.


Il disoccupato ai fini amministrativi è definito come persona fisica che ha rilasciato la DID17 (dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro), documento che può essere richiesto o autoprodotto su portale Anpal (Agenzia Nazionale per le politiche attive del lavoro)18 o generato in automatico per i percettori di indennità di disoccupazione19.

L’utente disponibile a collocarsi usufruisce quindi di servizi di ricerca di lavoro – in alcuni casi sottoposto a condizionalità, osservazione di regole e azioni di ricerca attiva di lavoro, pena la decadenza dallo stato di disoccupazione e la perdita del sussidio.


A questo riguardo si nota una differenza molto evidente tra la definizione di occupato e disoccupato della rilevazione continua delle forze di lavoro (disoccupazione statistica) e la occupazione e disoccupazione amministrativa. Mentre per la prima è sufficiente svolgere un’ora di lavoro saltuariamente anche in maniera informale, un lavoratore inquadrato part time o a tempo determinato o un collaboratore a qualsiasi titolo può comunque rilasciare DID ed essere amministrativamente disoccupato. Ciò è in alcuni casi addirittura obbligatorio, per esempio quando si percepiscono sostegni al reddito che condizionano l’utente a svolgere azioni per migliorare la propria situazione economica e occupazionale.


In conclusione, le due popolazioni, i disoccupati statistici e i disoccupati amministrativi, coincidono solo in parte. La cosa si complica ulteriormente se osserviamo altri tipi di indici sintetici messi a disposizione da Anpal che introducono il concetto di “occupabilità” secondo metodologie quantitative, ricavate da banche dati integrate, caratteristiche del lavoratore e andamento dell’occupazione per territorio, o qualitative derivanti dalla profilazione approfondita prevista nella fase di orientamento di base . Un occupato statistico potrebbe facilmente ricadere nel cluster dei “disoccupati di lunga durata scarsamente occupabili” nella piattaforma operativa di un centro per l’impiego.


Un ulteriore elemento di differenza tra i due sistemi statistici è rappresentato dal livello di dipendenza tra i parametri di stato occupazionale e il reddito: per i servizi per l’impiego e promozione del lavoro sono importanti il livello retributivo e la durata dei rapporti di lavoro al fine di emanciparsi dai servizi di welfare.


15) F. Antonelli, “Ambivalence of official statistics: some theoretical-methodological notes” in International review of Sociology – Revue internazionale de sociologie, 2016, vol. 26 nr. 3 pag. 364-366

16) https://www.sistan.it/

17) Art 19, comma 1 del D. Lgs 150/2015

18) www.anpal.gov.it

19) Art. 21, comma 1, del D.Lgs 150/2015




4. Il disallineamento dei dataset

Avendo osservato uno scollamento tra le rilevazioni statistiche e i big data amministrativi, possiamo a questo punto porci una serie di domande.


Per prima cosa possiamo cercare di riflettere su quale dei due sistemi, quello degli istituti statistici o quello delle amministrazioni pubbliche, sia più valido ai fini della comprensione della realtà sociale. Questa riflessione rischia ovviamente di portarci molto oltre l’obbiettivo della presente analisi finendo per coinvolgere l’annosa questione della validità del dato e le dispute a cui siamo abituati in ambito sociologico, dispute che spesso coinvolgono una terza base di informazioni: quelle derivanti da rilevazioni di tipo qualitativo. Si può quindi limitare il discorso alla funzione che i dati svolgono nei due sistemi e il ruolo che ricoprono nel fornire spunto per indirizzi politici e agende dei legislatori20. Come abbiamo visto, il dato statistico sulla povertà ha allarmato elettori e politici, tanto da giustificare riforme forti e costose nel tentativo di risolvere almeno in parte i gravi problemi.


I dati rilevati dagli istituti di statistica, quindi, forniscono un quadro, più o meno valido, delle situazioni degne di attenzione e rivelano l’esistenza di problemi su cui intervenire, come la crescita drammatica delle persone sotto la soglia di povertà assoluta. Al fine di meglio comprendere un fenomeno essi devono essere integrati da informazioni provenienti dalle amministrazioni locali o centrali, per esempio, dati riguardanti il gettito fiscale, le cessazioni delle imprese, le comunicazioni obbligatorie Inps, ecc. Malgrado questi non siano realmente allineati possiamo rintracciare alcune linee di coerenza che consentono di descrivere un fenomeno o un trend e, a volte, tracciarne le cause o i possibili effetti.


Mentre Gallino pubblicava Se tre milioni vi sembran pochi, veniva promulgato il pacchetto Treu21, che introduceva in Italia i primi elementi di flessibilità del lavoro aumentando le tipologie contrattuali includendo anche un rapporto di lavoro intermediato da agenzie, il lavoro interinale (oggi chiamato somministrazione). Negli anni seguenti altre normative radicavano la flessibilità considerata necessaria e efficace per combattere la crescente disoccupazione soprattutto giovanile e garantire una crescita economica in un contesto divenuto ormai dinamico. Ciò avveniva al contempo anche in altri paesi che si dotavano però di strumenti di welfare atti a proteggere i lavoratori in uscita, la cosiddetta flessicurezza. Secondo recenti studi la flessibilità non ha prodotto un aumento di occupazione né crescita economica22, ha invece generato masse di precari poco propensi ai consumi specialmente nei paesi carenti di ammortizzatori sociali come il nostro, fino all’esplosione dei dati sulla povertà e alla difficile distinzione tra disoccupati, sottoccupati e lavoratori poveri23.


20) Alain Desrosières, The Politics of Large Numbers: A History of Statistical Reasoning, Harvard University Press, 1998; pag. 18-23

21) Legge 24 giugno 1997, n. 196

22) Tridico, P., & Pariboni, R. (2017b). Structural Change, Aggregate Demand and the Decline of Labour Productivity: A Comparative Perspective (Working Paper 221). Dipartimento di Economia Roma Tre.

23) Tridico, P. “Italy: From Economic Decline to the Current crisis. A comparison with France and Germany” 19th Conference on Alternative Economic Policy in Europe, 20-22 September 2013 at the School of Oriental and African Studies, London, organised by the EuroMemo Group - scaricabile da www.euromemo.eu




5. L’integrazione dei sistemi tra dati quantitativi, legislazione e governance:

l’esempio del reddito di cittadinanza

Come abbiamo visto la pubblicazione dei dati statistici allarmanti sull’aumento dei poveri ha giustificato e catalizzato una riforma atta fornire un reddito di base agli indigenti, aumentando la platea degli aventi diritto al sussidio rispetto a precedenti provvedimenti poco incisivi. Il dato Istat è stato percepito come immagine della realtà sia nella sua dimensione statica che in quella dinamica di trend economico negativo.

Un progetto di legge è presto divenuto decreto e legge24 e il piccolo sussidio economico, con tutti i suoi paletti e le sue condizionalità è stato presto erogato, iniziando poi l’avvio della fase del mastodontico potenziamento per l’integrazione delle piattaforme digitali, un sistema informativo del lavoro unitario e il data mining di cui all’art. 6.


Il Reddito di cittadinanza (di seguito denominato Rdc) è definito come “misura fondamentale di politica attiva del lavoro a garanzia del diritto al lavoro, di contrasto alla povertà, alla disuguaglianza e all'esclusione sociale, nonché diretta a favorire il diritto all'informazione, all'istruzione, alla formazione e alla cultura”25.


Come si può notare esso è definito una politica attiva del lavoro (nel senso di strumento di promozione dell’inclusione occupazionale) e garanzia di diritto al lavoro. La necessità di contrastare l’assenza di reddito con l’erogazione di un sussidio (politica passiva) e di perequare le disparità economiche è menzionato solo in seguito come obiettivo da perseguire insieme al diritto all’istruzione e formazione. A questo riguardo possiamo osservare una prima contraddizione: mentre la politica passiva (sussidio economico) è calcolata e erogata su base familiare26 da un ente nazionale, le politiche attive si rivolgono al singolo in quanto forza lavoro e sono gestite a livello regionale27 (seppure con un coordinamento di Anpal che fornisce al contempo la necessaria assistenza tecnica) 28.

La distinzione tra ente erogatore (Inps) e attività rivolte alla promozione delle prospettive occupazionali è una caratteristica italiana derivata da anni di ritardo nell’applicazione di misure simili e la mancata separazione tra assistenza e previdenza. Alcune difficoltà e rallentamenti nell’implementazione possono sorgere ovviamente da questa peculiarità e devono essere risolte per mezzo di una governance integrata e una costante attività di supervisione.


Il primo dato discordante sta nel numero delle domande presentate nella fase iniziale, poco più di un milione e mezzo, di cui poco più di un milione accettate29, a fronte del quasi milione e ottocentomila di famiglie in povertà assoluta dichiarate da Istat. Ciò si può spiegare ricordando i parametri diversi adottati da Istat e dell’accesso al Rdc e al normale ritardo nell’acquisizione delle necessarie informazioni da parte dei cittadini , ma è comunque una discordanza da tenere presente.


E’ anche da notare come la povertà non sia necessariamente sempre collegata alla disoccupazione involontaria delle persone in età attiva, tanto che il provvedimento si articola in reddito e pensione di cittadinanza, laddove gli ultrasessantacinquenni esclusi dal patto di lavoro (non soggetti alla condizionalità e non obbligati a cercarsi un lavoro)30 sono conteggiati come percettori di reddito e non di pensione se residenti in famiglie con membri in età attiva. Altri beneficiari sono lavoratori poveri ma sopra la soglia di tassazione, con settimane lavorative sopra le 20 ore, quindi non soggetti a sottoscrivere il patto per il lavoro, al pari di chi ha carichi di cura o è disabile31.

Questi sono alcuni elementi che sfuggono al tentativo di identificare i beneficiari del sussidio con una popolazione potenzialmente occupabile e, pertanto, destinata ad emanciparsi dai servizi di contrasto alla povertà (al contrario, l’emancipazione dal beneficio è possibile per il nucleo nel suo complesso, qualora i membri in età attiva trovino un’occupazione sufficientemente remunerata).


L’indice di occupabilità derivato dalla profilazione quantitativa si basa su dati statistici e amministrativi relativi alla dinamicità occupazionale e economica del territorio unitamente a caratteristiche del lavoratore più o meno “appetibile” da parte delle aziende . La dimensione quantitativa delle varie classi di svantaggiati può dar luogo a una personalizzazione dei servizi e a eventuali proposte legislative (anche a livello europeo) per progetti dedicati a determinate fasce, simili alla Youth Guarantee o di incentivi per lo sviluppo economico e tecnologico di aree geografiche considerate disagiate.

Si nota come i dati quantitativi e l’intreccio tra informazioni statistiche e big data amministrativi incidano sulle decisioni e sulle linee politiche sia nazionali che europee.


La povertà, definita nel D.Lgs n.147/2017 come “la condizione del nucleo familiare la cui situazione economica non permette di disporre dell'insieme di beni e servizi necessari a condurre un livello di vita dignitoso” appare come un concetto fluido, denso delle riflessioni che hanno avuto luogo negli ultimi anni grazie agli approfondimenti di studiosi quali Amartya Sen32, dove la povertà di reddito è insieme causa ed effetto di esclusione socio-culturale e costituisce una prigione da cui è difficile uscire per cambiare la propria condizione, in sostanza, un’incapacitazione che agisce su vari piani33 sia materiali che culturali, informativi e relazionali. Per questo il percorso di inclusione per i beneficiari del reddito di cittadinanza si articola in patto per il lavoro e patto per l’inclusione sociale, quest’ultimo, sulla scia della precedente misura di portata limitata chiamata reddito di inclusione (REI)34, definito come una sequenza di “processi finalizzati a progettare le azioni che possono favorire capacitazione, possibilità di compiere scelte, partecipazione alle relazioni sociali, e non solo a maggiori risorse economiche, per ognuno dei soggetti coinvolti.”35


E’ ovvio che il pericolo per le amministrazioni coinvolte sta nel cadere nell’errore tecnocratico di interpretare il disagio come una sorta di fallo insito nella persona svantaggiata, o la povertà frutto di una propria mancanza, in sostanza di far persistere e accentuare lo stigma legato a un paradigma non esente da influenze ideologiche politiche che vede l’assenza di mezzi socio-economici come un fallimento dovuto a difetti e anormalità insiti nel soggetto deprivato. In questo senso l’eccessiva importanza data alle carenze formative e di alfabetizzazione tecnologica per giustificare la disoccupazione in Italia non consente di evidenziare i reali punti di arretratezza per porvi rimedio36.

L’approccio di Sen all’incapacitazione, al contrario, fa riferimento a un processo di esclusione sociale insito nel sistema37 che colpisce primariamente alcune fasce per motivi di status come il genere o l’età, l’area geopolitica di appartenenza o a carenze nel welfare inteso come diritto38.


24) decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4 coordinato legge di conversione 28 marzo 2019, n. 26 recante:

«Disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni.»

25) Art.1 testo coordinato del decreto-legge 28 gennaio 2019, n. legge di conversione 28 marzo 2019, n. 26

26) Ibid. art. 2

27) Una riforma tesa a sottrarre la gestione delle politiche attive alle regioni è stata sonoramente bocciata in sede referendaria nel 2016. La riforma era stata proposta dallo stesso governo che aveva istituito l’Agenzia nazionale delle politiche attive (Anpal) nel 2015

28) Il policentrismo è per Desroisières una caratteristica dello stato neoliberista: Desroisières A., 2009, "Stato, mercato e statistiche. Storicizzare l’azione pubblica", Rivista delle Politiche Sociali / Italian Journal of Social Policy, n°3 pag. 259-261

29) Fonte: https://www.inps.it/

30) Art. 4 comma 1 testo coordinato del decreto-legge 28 gennaio 2019, n. legge di conversione 28 marzo 2019, n. 26

31) Art. 4 testo coordinato del decreto-legge 28 gennaio 2019, n. legge di conversione 28 marzo 2019, n. 26

32) Fulvio Longato “Agency e razionalità nell’incapability approach di Amartya Sen” in Esercizi Filosofici 12, 2017, pag. 176-179

33) Amartya Sen, Lo sviluppo è libertà, Edizioni Mondadori, 13 mag 2014 cap IV.

34) D.Lgs. 15 settembre 2017, n. 147

35) Linee guida per la definizione del patto di inclusione sociale a cura di Ministero del lavoro

https://www.lavoro.gov.it/redditodicittadinanza/Documents/Linee-guida-Patti-inclusione-sociale.pdf Pag. 14

36) Tridico, P., op.cit

37) Sulla povertà come prodotto sociale G., Simmel, Il povero

38) Amartya Sen, Op.cit.




6. Osservare la realtà: dimensioni e strumenti conoscitivi

Possiamo immaginare diverse finestre con aperture limitate e in posizioni diverse da cui alcuni osservatori cercano di comprendere l’insieme e i dettagli di uno stesso panorama. In questa condizione si trova il sociologo che voglia rilevare un fenomeno sociale, in particolare i fenomeni vasti e complessi come la disoccupazione e la deprivazione economica. Le finestre sono punti di osservazione da cui si possono vedere solo sezioni della realtà, i vari dettagli appaiono più o meno offuscati a seconda della distanza che li divide dalla singola finestra. Il sociologo ricercatore che usa metodi quantitativi somministrando questionari si preoccuperà dell’estensione, della rappresentatività di un campione, il sociologo qualitativo cercherà con colloqui approfonditi di suscitare un flusso di coscienza che riveli il vissuto degli intervistati, prediligendo l’intensità all’estensione.


L’analisi del rapporto reciproco tra cittadini e istituzioni potrebbe avvalersi di vari strumenti metodologici per analizzare i molteplici processi che compongono questo complesso sistema: quello dell’operatività delle azioni sociali e interazioni tra cittadini e istituzioni, nell’osservazione di dati e metadati nella loro genesi, le loro fasi e passaggi attraverso una prospettiva critica, considerando poi i cittadini nel loro muoversi per espletare i propri doveri e difendere i propri diritti, richiedere e collaborare con i servizi e negoziare il proprio ruolo e la propria identità pubblica. Questo tipo di osservazione39 registra i feedback delle azioni di governance e coglie l’aspetto dinamico nel ruolo dei cittadini nel tessuto sociale, giuridico e economico. E’ necessario a questo riguardo considerare i diversi ruoli degli attori e concepire la produzione e implementazione delle norme e procedure come esercizio di poteri, tra cui rientra il potere definitorio delle condizioni di status40 (come abbiamo visto nel paragrafo precedente la definizione di povertà e disoccupazione è spesso inserita negli atti normativi a volte anche con riferimento a specifici indicatori).


39) I modelli teorici per affrontare l’analisi dell’agire pubblico e dell’interazione tra cittadini e istituzioni possono essere molteplici, ma per un approccio critico è preferibile seguire le linee teoriche della sociologia critica e della scuola francese da Foucault, Bourdieu, Desroisiéres e le riflessioni sull’agire di Boltsanski e Thevénot. Cfr. Damien de Blic “La sociologie politique et morale de Luc Boltanski” Raisons politiques, 3, 2000, p. 149-158.

40) F. Antonelli, op.cit. Sul potere dello stato e il suo esercizio P. Bourdieu e M. Foucault in particolare per una riflessione sul potere nei sistemi liberisti e neoliberisti Nascita della biopolitica. Corso al Collège de France (1978-1979), Feltrinelli 2005




Conclusioni

Abbiamo visto come i dati statistici ufficiali derivino da diverse fonti che si possano raggruppare in due gruppi: le fonti statistiche di rilevazione e la pubblica amministrazione. È stato accennato alle modalità con cui essi interagiscono tra loro, malgrado il loro disallineamento e fungono da base per le decisioni dei legislatori e l’emergere o il rafforzarsi di indirizzi politici, i quali a loro volta si rispecchiano nella definizione degli indicatori. A questo riguardo si può notare come gli Istituti di statistica siano coordinati a livello sopranazionale mentre la pubblica amministrazione, essendo parte delle attività di governo, sia limitata agli stati nazionali anche quando l’accesso a fondi europei richieda standard condivisi tra i paesi membri.


In una prospettiva storica si registra un cambiamento, da un quasi totale consenso e fiducia nelle politiche neoliberiste nell’ultimo decennio dello scorso secolo, che ha introdotto in maniera acritica normative che consentivano il precariato endemico e il calo dei salari, a una parziale inversione, anche causata dai fallimenti nelle politiche economiche per l’occupazione e di sviluppo, che potrebbe accentuarsi e dar luogo a fasi anticicliche neokeynesiane.

Questo processo ha reso necessaria una maggiore articolazione degli indicatori statistici e la messa in discussione delle definizioni e degli standard per le azioni di governance, discussione ancora in essere sia nel dibattito politico che nella pubblica amministrazione per le circolari e i decreti attuativi delle politiche attive e di sostegno al reddito. In questo senso la statistica pubblica può essere concepita non solo come costruzione sociale, ma anche nella sua dinamica come parte del mutamento politico e socio-economico, laddove i metodi di costruzione dei dati influenzano gli orientamenti politici e sono a loro volta soggetti a cambiamento quando gli indirizzi di governo mutano.

Esse si comportano sia come causa che come effetto dei cambiamenti di strategia del legislatore e dell’amministratore, dando luogo a modifiche non sincroniche delle due fonti di dati che, svolgendo differenti funzioni e seguendo tipi diversi di razionalità, hanno propensioni al mutamento differenti.




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Sitografia e strumenti


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Sito ufficiale dedicato al Reddito di cittadinanza https://www.redditodicittadinanza.gov.it


CNEL https://www.cnel.it


SISTAN https://www.sistan.it

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