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ANALISI E PROPOSTE. UN PROCEDIMENTO INFERENZIALE APPLICATO AL MERCATO DEL LAVORO.


Perché sono necessari degli interventi, da parte delle istituzioni pubbliche, che incidano sulle opportunità occupazionali degli individui?


Le trasformazioni dell’economia contemporanea (con la progressiva crescita del terziario avanzato e la contemporanea riduzione di opportunità occupazionali nei settori tradizionali) e le innovazioni tecniche ed organizzative (indispensabili in un contesto economico estremamente globalizzato e competitivo) hanno determinato dei cambiamenti sempre più profondi che – forse anche per via di una ricchezza tangibile mai vista prima che consente politiche redistributive del reddito, le quali fortunatamente frenano la diffusione delle più estreme forme di deprivazione materiale – hanno reso la ricerca del lavoro un problema sempre più grave.

Seppure una parte di coloro che ufficialmente appaiono non occupati in realtà svolgono certamente lavori in nero cercando di sbarcare il lunario, occorre d’altra parte rimarcare che questa loro situazione irregolare generalmente determina che - vivendo in una condizione di persistente illegalità - siano pagati poco e siano più esposti ad incidenti, alla perdita del lavoro ed alla collusione con organizzazioni criminali.


Al di là del fenomeno del Lavoro Nero, nella nostra società contemporanea non avere un impiego lavorativo stabile determina una condizione economica disagiata; ed una disoccupazione di lunga durata generalmente non solo acuisce il rischio di esclusione sociale (dovuta ad una riduzione di opportunità di rapporti interpersonali) e di perdita di ruolo sociale (dunque di rispetto da parte degli altri, con conseguente ripercussione sull’autostima), ma determina pure una progressiva riduzione delle competenze e conoscenze professionali, pregiudicando ulteriormente le opportunità di trovare un lavoro, per via del mancato utilizzo delle proprie capacità lavorative e della perdita di abitudine a scandire il tempo nelle attività quotidiane.

In una società che promuove come valori la ricchezza e lo status symbol, chi non ha un lavoro rischia di autoisolarsi; infatti il disoccupato potrebbe autoescludersi per paura di essere giudicato e non capito e col perdurare di tale situazione - ritenendosi inadatto e senza posto nella società, per la vergogna - potrebbe mettersi in una condizione che lo paralizza e gli impedisce di attivarsi nel mercato del lavoro, accentuando in tal modo, in un circolo vizioso, ancora di più la solitudine e la possibilità di costruire relazioni.


In relazione a quelle che sono le aspettative lavorative della comunità nella quale il soggetto vive, il disagio psicologico che deriva da una condizione occupazionale insoddisfacente mette a rischio l’identità personale e il suo quadro motivazionale, spingendo le persone a divenire mano a mano sempre più passive e sempre più permeate da un senso di vittimismo (percependo di subire un ingiusto torto da parte della società) e rendendo sempre più complicato il loro inserimento lavorativo, per via della perdita di fiducia in se stessi, nel sistema e nel futuro.

In sintesi i sentimenti di inadeguatezza ed isolamento con le loro ripercussioni sull’umore, che possono essere fonte di insorgenza di disturbi psicologici, si sommano così agli effetti dei problemi finanziari legati alla disoccupazione, problemi statisticamente correlati a stato di depressione e deterioramento della salute fisica.


Se è vero che le opportunità occupazionali in generale scontano i problemi determinati da nuovi modelli produttivi nelle attuali economie di mercato, questa difficoltà è maggiormente significativa in quei sistemi economici incapaci di fornire adeguata formazione professionale alla propria forza lavoro, di rispondere o meglio predire e programmare una formazione che corrisponda alle necessità della domanda di forza lavoro. Ma a fronte di questi “problemi di sistema”, esistono anche delle motivazioni strettamente personali che possono costituire un freno all’attivazione dei soggetti nel mercato del lavoro.



I motivi personali - delle difficoltà nel mercato del lavoro degli individui in età lavorativa - possano essere i più disparati; proviamo ad elencarne i principali:

  • i carichi familiari (per la cura di bambini, disabili, anziani) ostacolano gli sforzi profusi nel lavoro o nella ricerca di esso;

  • in altri casi si tratta di individui che versano in precarie condizioni personali di salute, non di rado queste cagionate da infortuni sul lavoro (e talvolta privi di copertura assicurativa, poiché verificatisi proprio durante un lavoro irregolare, l’unico che gli venisse offerto);

  • hanno delle difficoltà a ritrovare pienamente la propria strada, di recuperare le opportunità perse nella vita dopo un percorso riabilitativo;

  • ci sono donne che hanno sempre concepito la propria persona come una mera casalinga ma ora si ritrovano separate dal marito e prive di competenze lavorative;

  • oppure sono persone che hanno momentaneamente deciso di dedicare buona parte delle loro energie e delle loro giornate per intraprendere la strada della formazione, riqualificazione o istruzione così da poter cogliere migliori opportunità occupazionali;

  • oppure sono quasi giunte all’età della pensione e sono fisicamente e mentalmente demotivate;

  • altri hanno un umile lavoro che permette di percepire una paga purtroppo modesta ma essenziale per “tirare avanti” …....

  • e per finire c’è la grande onta nazionale dei giovani, ancora senza una qualifica e senza esperienza lavorativa.

Le condizioni personali sopra descritte possono determinare i seguenti punti di debolezza nella forza lavoro:

  • Problemi di tipo economico e finanziario, che spesso possono condurre le persone in un circolo vizioso della povertà, cioè un processo di “causazione cumulativa” che - senza aiuti esogeni - impedirebbe alle persone di riscattare la propria condizione;

  • Difficoltà a raggiungere fisicamente il potenziale luogo di lavoro, per motivi logistici o legati alle proprie relazioni personali;

  • Bassa o nulla qualificazione professionale, legata ai risultati conseguiti nel campo dell’istruzione e formazione;

  • Insoddisfacente realizzazione personale e scarsa identificazione rispetto al lavoro al quale realisticamente il soggetto può ambire, in base alle proprie competenze professionali acquisite.

Ora daremo un rapido sguardo agli strumenti pubblici messi in campo per consentire di far fronte alle difficoltà personali - qui analizzate e che si ripercuotono sul lavoro - determinate da:

  • PARZIALE INABILITÀ AL LAVORO. Riguardo a questo tema è centrale la normativa sul collocamento mirato per la determinazione delle attività che il disabile può svolgere e che sancisce gli obblighi, in capo al datore di lavoro, per l’assunzione di questa categoria di lavoratori iscritti nelle liste protette. Tali liste non sono diffusamente conosciute tra quella forza lavoro poco avvezza a frequentare i Centri Per l’Impiego; ci sono tre grandi categorie di lavoratori disabili (gli invalidi civili, ciechi civili e sordi civili / gli invalidi del lavoro / invalidi di guerra e per causa di servizio) e ognuna deve essere sottoposta ad un differente organo di accertamento, una commissione medica apposita per il collocamento mirato. Tra i numerosi utenti che in questi mesi si sono recati presso i servizi pubblici per l’impiego, sono emersi casi di persone che hanno confidato di non aver potuto avviare le pratiche per il riconoscimento dell’invalidità per difficoltà economiche, non potendosi permettere le visite mediche a pagamento necessarie per la corretta ed esaustiva diagnosi e relativo certificato medico, necessari per l’inoltro della domanda di accertamento. Da sottolineare che il riconoscimento di un certo grado di invalidità (differente a seconda della categoria) darebbe inoltre all’invalido il diritto a percepire una prestazione economica.

  • CARICHI DI CURA. In questo il legislatore ha previsto una detassazione dei servizi di Welfare Aziendale (per l’assistenza a familiari anziani o non autosufficienti, per la frequenza non solo di asili nido, ma anche di altri servizi educativi, di ludoteche e di centri estivi); ma ci sono anche tutta una serie di aiuti pubblici ai neo-genitori, che vanno da quelli statali come il bonus nido, il bonus baby-sitter, i congedi retribuiti ed altre prestazioni invece meramente monetarie a favore dei lavoratori (detrazioni e assegni per familiari a carico) e delle neo-mamme (bonus mamma domani e bebè), per giungere infine agli aiuti riconosciuti invece su base locale, ma talvolta alternativi agli stessi messi in campo dall’INPS. Tutto questa giungla di prestazioni e relative istanze telematiche, ingenerano ovviamente una inevitabile confusione nei destinatari di queste forme di aiuto; per questo motivo sarebbe di particolare aiuto l’atteso Assegno Unico Universale, per famiglie con figli, che dovrebbe decorrere dal corrente anno. Anche per la cura di familiari portatori di handicap grave ci sono tutta una serie di strumenti che si intrecciano (alcuni statali, altri locali) per aiutare le famiglie a sostenere i costi dell’assistenza domiciliare; purtroppo solitamente si tratta di fondi sottodimensionati rispetto alle reali necessità di cura domiciliare. Diverse sono le misure dell’Assegno di Accompagnamento (attribuita direttamente a coloro che sono stati riconosciuti non autosufficienti e non vivono a carico del SSN) e quella del Caregiver, annunciata ma mai entrata in vigore come misura statale (fondi e gestione sono stati trasferiti alle Regioni), che prevede un sostegno diretto al familiare che si prende “non professionalmente” cura di un proprio congiunto. Anche in quest’ultimo caso, come in generale per molte delle misure richiamate in questo paragrafo, i fondi finanziari a disposizione sono poco più che simbolici; magari pure qui potrebbe essere d’aiuto accorpare tutto (che sia per portatori di handicap con connotazione di gravità o per persone non autosufficienti) in un’unica forma così come previsto per l’Assegno Unico Universale e calibrare l’aiuto sulla base della valutazione complessiva del quadro dei bisogni del soggetto da tutelare.

  • OSTICO INSERIMENTO/REINSERIMENTO LAVORATIVO. In riferimento ai servizi volti ad agevolare questo passaggio verso il mondo del lavoro, di particolare importanza sono i servizi di accompagnamento al lavoro e follow-up; a questo riguardo la misura dell’Assegno di Ricollocazione stenta a prendere piede in Italia. C’è da dire che questa misura - per poter incidere - richiede senz’altro un adeguato sviluppo dei servizi per la qualificazione e riqualificazione del personale, inevitabile passaggio intermedio per un'importante fetta delle persone in cerca di lavoro e passo essenziale affinché - attraverso il servizio del AdR - chi prende in carico quell’utente (non qualificato che si candida a lavorare) possa realisticamente puntare ad un proficuo risultato. Non si può però trascurare l’aspetto che non tutti i disoccupati ed inoccupati siano propensi/inclini a questo genere di attivazione volta alla ricerca di un lavoro, specialmente se trattasi di persone con una pluridecennale lontananza da percorsi di istruzione e formazione; per questi soggetti pare destinata al fallimento una strategia rigidamente focalizzata sul percorso anzidetto di conseguimento di una qualifica attraverso la frequenza di corsi formali di istruzione e formazione. Solitamente trattasi di soggetti che si definiscono pronti a lavorare ed a svolgere anche mansioni non qualificate, ma per i quali - una volta inseriti in un contesto produttivo – attraverso dei percorsi più pratici di “formazione permanente” si possa ambire ad incrementare le conoscenze, le competenze e la capacità tecnica di questi lavoratori. Va da sé che per ottenere questo risultato andrebbero inseriti in maniera organica e stabile in seno ad organizzazioni economiche, come ad esempio le già normate Società Cooperative Sociali, magari anche prevedendo nuove tipologie oltre alle due già esistenti; questo presuppone una forte volontà politica di più pesanti investimenti in questo genere di realtà economiche, seppure rivolte ad attività di pubblico interesse. Ultimo punto, più marginale dal punto di vista del numero dei potenziali interessati, è quello di coloro che vorrebbero lavorare in proprio, aprendo una piccola attività autonoma/imprenditoriale; i servizi pubblici dedicati all’assistenza all’auto-impiego sono poco conosciuti, così pure le attività svolte dagli incubatori d’impresa sono poco note.



A questo punto vediamo, sulle seguenti tematiche, come poter incidere positivamente sulle opportunità occupazionali.

In alcuni casi emerge la scarsa conoscenza di basilari servizi pubblici per il lavoro, determinata da una lontananza fisica - dagli uffici preposti - di questi soggetti; occorre adottare dunque un sistema che li conduca in quel luogo fisico in grado di orientarli a 360°. [PROBLEMA INFORMATIVO]

In altri casi ci sono questioni economiche che li penalizzano e che possono ledere il godimento di loro diritti (abbiamo visto per quanto riguarda l’accertamento sanitario, la mobilità sul territorio, la frequenza di corsi di formazione a pagamento); qui si potrebbe pensare ad un sistema tipo il “de minimis” (quello adottato per finanziare le imprese con denaro pubblico), cioè un patto che fornisca al lavoratore un aiuto economico (basato sulle esigenze specifiche del soggetto) in parte a fondo perduto. [PROBLEMA ECONOMICO]

Altri problemi derivano da una scarsa attenzione prestata alla formazione, alla crescita professionale della forza lavoro, da parte sia del tessuto produttivo (più attento alla questione del contenimento del costo del lavoro) che dalle istituzioni (più attente ad investire nella salvaguardia dei posti di lavoro esistenti, che su quest’altro aspetto che volge sempre in quella direzione ma in maniera più indiretta). Occorre invertire il flusso di aiuti dalla tutela del posto di lavoro alla tutela della professionalità del lavoratore. [QUESTIONE COMPETITIVITÀ]

Gli aiuti previsti in alcuni casi sono molteplici, ma avendo la stessa natura (talvolta erogati da enti differenti) spesso ai più sfuggono le diverse sfumature e fanno sorgere equivoci e dilemmi di compatibilità. Sarebbe opportuno che gli aiuti aventi medesima natura fossero gestiti da un unico ente attraverso una “domanda unica”. [QUESTIONE COMPLESSITÀ]

La Politica pone molto l’accento sulla condizionalità come leva per indurre le persone ad attivarsi nella ricerca del lavoro; ma è una questione tutta teorica, perché nella pratica questa condizionalità non viene mai fatta osservare, nonostante le previsioni normative. Di converso, dai contatti con l’utenza emerge la loro difficoltà a decifrare ed affrontare le incombenze amministrative, affiorano (anche per chi era già inserito in ambito lavorativo) gli sforzi inappagati ad intercettare opportunità lavorative in un contesto nazionale dove la ricerca di forza lavoro è - secondo tradizione - prevalentemente svolta tramite conoscenze personali, passaparola, post pubblicati sui social, avvisi nelle vetrine; inoltre viene a galla la fatica nel cercare di focalizzare i propri sforzi di ricerca e l’incapacità di raggiungere una consapevolezza delle proprie carenze ma anche delle potenzialità proprie e quelle del mercato del lavoro, delle opportunità di formazione e riqualificazione. In queste persone (che versano in una condizione di svantaggio, determinata dalla propria inoccupazione o sottoccupazione) emerge la necessità di una figura di sostegno sulla quale riporre fiducia; una figura professionale che funzioni da sprone, foss’anche per il semplice motivo che avvertono come ci sia un’altra persona che si interessa e si informa sul proprio percorso e futuro professionale. [QUESTIONE PSICOLOGICA]




E perché bisogna valutare attentamente le politiche di attivazione messe in campo?


Vediamo alcune possibili fragilità nei modelli di Politiche Attive del Lavoro:

  • Conflittualità tra le istituzioni coinvolte;

  • Funzioni affidate a strutture diverse senza alcun raccordo;

  • Scarso coinvolgimento pubblico dei vari operatori privati attivi nel mercato del lavoro;

  • Forte accentramento ma solo formale, che produce a livello locale un “mondo sommerso” non monitorabile;

  • Organizzazione basata su un metodo eccessivamente burocratico, che penalizza l’emersione di competenze professionali specifiche;

  • Interventi a “pioggia” che rischiano di interessare categorie sulle quali la misura attivata sarebbe inefficace.



Le sopra evidenziate fragilità fanno emergere alcuni "bisogni":

  • la necessità di avere centri operativi periferici integralmente coinvolti nelle varie attività programmate e monitorate dal centro decisionale (intesi come attori pienamente partecipi a tutto campo nell’operatività e capaci sul campo di interagire con gli altri attori attivi nel Mercato del Lavoro) e non dei meri esecutori burocratici;

  • la necessità di mettere in campo delle misure efficaci non può che richiedere la collaborazione e l’identità di vedute con gli operatori del settore, al fine di allontanare possibili elementi di conflittualità;

  • la necessità di identificare le esatte funzioni di ciascun attore, sia pubblico che privato, per evitare aree di commistione (con reiterazione di attività già svolte da altri uffici) e conflitto di competenza;

  • la necessità di un sistema di servizi per il lavoro selettivo e dimensionato sulla base delle caratteristiche dell’utenza destinataria.



Dopo aver parlato dei possibili elementi di fragilità nelle politiche attive del lavoro, ora parleremo della principale politica di attivazione di massa attualmente in vigore in Italia, la misura del Reddito di Cittadinanza.

Il reddito di cittadinanza viene riconosciuto ai nuclei familiari in difficoltà in possesso di una serie di requisiti reddituali, patrimoniali, di residenza e per i quali il richiedente non sia stato sottoposto a misure cautelari o sia stato condannato nei dieci anni precedenti per reati indicati dalla normativa RdC stessa. L’aiuto previsto è duplice: c’è un sussidio economico (costituito sia da un importo parametrato sulla base dei requisiti anagrafici della famiglia che da un altro importo basato sull’eventuale costo mensile sostenuto per la rata del mutuo o il canone d’affitto dell’abitazione principale) e ci sono dei servizi, che rappresentano la vera novità per quanto riguarda gli interventi di contrasto alla povertà.

A monte del sistema, istituito per questi servizi legati al RdC, vi è uno smistamento - da parte dell'INPS - dei percettori tra due tipologie di funzione: quella di inclusione (svolta dai servizi sociali comunali) e quella di attivazione lavorativa (svolta dai Centri per l’Impiego, in questo caso sulla base della residenza dell’utente). I CPI in Italia hanno un indirizzo e coordinamento su base regionale, in quanto la parte operativa delle Politiche Attive del Lavoro ricade nella competenza delle Regioni; per cui tutti i servizi attualmente offerti o promossi all’utenza rientrano nello stretto perimetro regionale.

Da subito si è dibattuto se il riconoscimento di un siffatto aiuto economico non costituisse un disincentivo al lavoro; a questo proposito visto le somme generalmente riconosciute ai nuclei familiari beneficiari si può escludere che possa costituire un disincentivo a cercare un lavoro a tempo pieno o comunque tale da garantire una certa sicurezza economica. Probabilmente il disincentivo può invece giocare un ruolo verso i cosiddetti lavoretti (regolari o meno) saltuari o di poche ore settimanali, ma - al netto invece del programma di attivazione dei beneficiari inattivi insito nella misura RdC - tale effetto non dovrebbe rappresentare un elemento di particolare peso a sfavore di questo meccanismo di sostegno economico alle famiglie in difficoltà.

Un altro aspetto centrale nel dibattito sul RdC è il meccanismo della condizionalità, che lega il percepimento del sussidio al rispetto di determinati obblighi assunti in capo ai componenti del nucleo beneficiario. Una corrente di pensiero ritiene che questo meccanismo sia l’arma irrinunciabile per impegnare le persone - in età attiva - in percorsi volti al conseguimento di un successo occupazionale; un’altra corrente di pensiero ritiene che occorra invece agire su aspetti maggiormente legati alla sfera individuale per attivare le persone nella ricerca di un lavoro o nel conseguimento di una qualifica professionale e che dunque la presenza o meno di tale meccanismo non costituisca il fattore che possa determinare gli esiti di una politica attiva del lavoro.

Abbiamo avuto modo di verificare che un numero non trascurabile di questi utenti indirizzati ai CPI in realtà non è assolutamente (o non lo è ancora) motivato ad attivarsi nella ricerca di un lavoro, talvolta è per giunta completamente all’oscuro della presentazione della domanda da parte di un congiunto, con ciò che da questo ne deriva, ossia una mancata valutazione critica sull’opportunità di presentare la domanda stessa.

Talvolta abbiamo a che fare con persone sottoccupate o che esercitano in nero e la mensilità percepita tramite la carta RdC è vista come un modo per integrare le entrate familiari, mentre l’impegno richiesto dalla condizionalità insita nel RdC è percepito come una seccatura (che mette a rischio l’equilibrio e la routine familiare) anziché una opportunità.

L’importo riconosciuto al nucleo è legato principalmente all’ indicatore ISEE (dato poi aggiustato coi parametri eventualmente comunicati dagli interessati tramite gli allegati alla domanda RdC) secondo meccanismi oscuri per la gran parte degli stessi beneficiari, i quali potrebbero dunque trovarsi involontariamente a dover rispondere a tutti quegli obblighi insiti nella domanda RdC (e nell’eventuale Patto del Lavoro “proposto”) seppure percettori di un importo praticamente simbolico.

Il meccanismo RdC prevede inoltre per i sottoscrittori del PdL la partecipazione alle attività sulla base di uno “status” familiare; ne consegue che se il nucleo di provenienza dovesse decadere dal sostegno economico (perché ad esempio un familiare ha trovato lavoro) tale utente sparisce dal “radar” di monitoraggio e supporto, con buona pace per le attività di profilazione e del piano di monitoraggio fino ad allora svolte.


Per questi soggetti, che in termini assoluti rappresentano una notevole mole di lavoro, vengono istruite delle pratiche che - in tal modo - risultano fini a sé stesse; se a questo aggiungiamo come sopradetto che spesso si dedica del tempo per cercare di rintracciare o semplicemente farsi ascoltare da familiari che si auto-percepiscono come estranei alla procedura attivata da un altro componente familiare, si può ben capire come in tal modo si vada a disperdere del prezioso tempo che invece potrebbe essere più proficuamente indirizzato ad assistere quegli utenti interessati ad attivarsi.


Seppure è da ritenere lodevole lo spirito della legge di cercare di attivare o riattivare nel mondo del lavoro un così elevato numero di persone questo sistema è da ritenersi inefficiente e - con una limitazione di risorse umane - rischia di portare alla inefficacia degli strumenti anche quando questi saranno totalmente dispiegati, sorvolando sul controverso tema dell’iniquità nell’accesso ai servizi di supporto tra chi rientra nel perimetro RdC e chi ne rimane fuori.

Solo a titolo di esempio, in presenza di minori nel nucleo i requisiti di accesso - anche patrimoniali - al sostegno economico vengono valutati sulla base dell’ISEE MINORENNI; nel caso di un genitore non residente col minore e non coniugato o separato legalmente con l’altro genitore, l’eventuale abitazione principale di proprietà del genitore non convivente viene valutata come seconda casa nel valore patrimoniale dell’ISEE MINORENNI del figlio minore (appartenente ad un nucleo che potrebbe in realtà non possedere alcun immobile) determinando la conseguente probabile esclusione dal beneficio - per mancanza del requisito patrimoniale - a danno del nucleo in questione, anche nell'ipotesi che fosse a reddito zero ed allo stesso tempo il genitore non convivente avesse i requisiti per accedere al RdC.

Un’altro caso potrebbe essere quello di un nucleo a reddito zero, che nel secondo anno precedente alla presentazione dell’ISEE avesse beneficiato da un defunto parente tramite successione di un valore patrimoniale (mobiliare o immobiliare) tale da fargli perdere uno dei requisiti per poter beneficiare del RdC, non potendo l’ISEE corrente fotografare la situazione patrimoniale attuale, che potrebbe essere ben differente da quella indicata nei due anni antecedenti.


Appare più opportuno un sistema di accesso alle politiche di inclusione sociale ed alle PAL su base individuale che permetta al cittadino di essere assistito nel luogo eletto dallo stesso come proprio domicilio e parta da un semplice meccanismo di scelta personale piuttosto che indirizzarlo - ad un servizio anziché ad un altro - sulla base di parametri prestabiliti su base familiare.

Occorre inoltre segnalare che capita con una certa frequenza di assistere ad utenti disorientati ed interdetti per aver ricevuto - in merito al RdC - nel giro di poche ore le chiamate in sequenza da parte del Navigator, del CPI, dai servizi sociali del Comune e dall’ente associato incaricato della gestione dei PUC.

Quest’ultimo punto evidenzia la necessità della presenza di un unico interlocutore istituzionale, un referente, una voce unica che orienti l’utente nei meandri della P.A. e che possa essere contattata direttamente (come fanno i titolari del RdC con i Navigator, di cui dispongono del relativo numero di cellulare aziendale) come proprio operatore dedicato, ma inserito in un gruppo di lavoro con competenze multiple. Per questioni non trascurabili di omogeneità di opportunità offerte al cittadino è necessario che l’azione possa essere svolta e diretta ad un ambito non strettamente regionale, ma nazionale.


Oltre al Reddito di Cittadinanza c’è un proliferare di varie altre misure di sostegno al reddito, alcune su base personale altre familiare (carta acquisti, Indennità di disoccupazione, Reddito di Emergenza e sussidi erogati da enti vari), che non aiutano il cittadino all’accesso consapevole ai supporti economici; sarebbe utile che esistesse un’unica forma di supporto gestita da un unico ente per coloro che hanno un documentato bisogno economico, il cui ammontare monetario vari a seconda della scelta fatta dal soggetto (vuole o non vuole lavorare) e dalla sua situazione soggettiva (ha appena perso involontariamente il lavoro, oppure non stava formalmente lavorando).



GLI SPECIALISTI DEL RdC: i NAVIGATOR

La nascita del RdC ha portato con sé la creazione di una nuova figura professionale in Italia - quella del Navigator - che nell’immaginario collettivo (magari figlio di una mentalità clientelare) ha rappresentato una sorta di procacciatore di lavoro per i beneficiari RdC, responsabile unico delle sorti lavorative di questa categoria di utenti dei servizi pubblici per il lavoro. Come vedremo in realtà non si tratta di una sorta di faccendiere che si ingegna a trovare artifizi per convincere le imprese e cercare di “piazzare un proprio cliente”, ma di un collaboratore di un servizio pubblico organizzato per fornire prestazioni sia a favore della domanda di forza lavoro che dal lato di chi invece la offre, col fine di agevolare la libera scelta delle parti di “incontrarsi” e valutare se legarsi vicendevolmente con un rapporto di lavoro. La raccolta mediante contatto diretto presso le imprese italiane di eventuali opportunità di lavoro, viene messa a disposizione (della collettività e di tutti i potenziali interessati) tramite i servizi regionali di Incontro Domanda-Offerta. Lo svolgimento di un servizio pubblico tra l’altro impone di garantire a tutti gli utenti pari supporto; dunque ogni ragionamento sulla valutazione - di tale collaborazione - basata sul mero risultato occupazionale deve essere considerato inappropriato alla natura di questo servizio. Al pari della misura del Reddito di Cittadinanza, che è stata oggetto di pretestuosi attacchi (a titolo di esempio: “non è stato in grado di creare nuovi posti di lavoro”), allo stesso modo il Navigator (figura appunto strettamente legata al RdC) si è trovato oggetto di una strumentale e dannosa contesa politica e di attacchi svincolati da una comprensione e corretta rappresentazione del contesto di riferimento, caratterizzato da un enorme carico di lavoro burocratico sulle spalle di un organico sottodimensionato.

Dei tre temi che penalizzano il nostro mondo del lavoro :

  • un’economia privata che non offre sufficienti opportunità occupazionali;

  • un sistema di qualificazione professionale che non produce in maniera adeguata le qualifiche richieste dal sistema produttivo;

  • un’ampia fetta della popolazione in età da lavoro che non partecipa attivamente (o non è messa nelle condizioni di parteciparvi adeguatamente) alle dinamiche del mercato del lavoro;

il Navigator si occupa - in qualità di Case Manager - proprio di quest’ultimo punto, cioè della problematica che stiamo più diffusamente trattando qui e che merita, alla pari delle prime due, soluzioni adeguate; nel caso specifico tramite un progetto occupazionale personalizzato volto a cambiare la situazione di utenze problematiche finora assistite con tutele deboli o assenti. Come vedremo si tratta di un’azione di una certa complessità; l’acquisizione di una sufficiente dimestichezza con l’intera materia trattata richiede un periodo (probabilmente almeno biennale) di pratica sul campo, nel caso in questione per giunta ostacolata dalle conseguenze determinate dall’emergenza sanitaria scoppiata a sei mesi dall’inizio dell’operatività dei Navigator stessi. Come pure un certo periodo di tempo è da ritenersi necessario:

  • per tendere al conseguimento di un rapporto simbiotico tra un’organizzazione nazionale ed un pluralità di organizzazioni regionali;

  • per una piena integrazione di questa nuova figura del Navigator all'interno dei servizi pubblici per il lavoro;

  • per una compiuta operatività degli strumenti di politica attiva del lavoro.

Compito principale affidato a questi collaboratori - in forza all’agenzia nazionale Anpal Servizi SpA - è quello di supportare gli operatori dei Centri per l’Impiego (coordinati a livello regionale) nella realizzazione di un percorso che coinvolga i beneficiari del Reddito di Cittadinanza a partire dal primo appuntamento. Inoltre nella convenzione stipulata con Anpal Servizi, ogni singola Regione ha la possibilità di prevedere ulteriori compiti e responsabilità supplementari per i Navigator.

Con la prima convocazione dei beneficiari RdC, vengono raccolte le informazioni sul nucleo familiare e verificati i requisiti per l’eventuale esonero o esclusione dal percorso di accompagnamento all’inserimento lavorativo (Patto per il Lavoro personalizzato per ogni singolo beneficiario), oppure per la loro “trasformazione” (ossia il rimando dei beneficiari ai servizi sociali).

Se invece non vengono rilevate cause ostative, per costoro si procede con il rilevare le esigenze e le aspettative lavorative, per poi analizzare le caratteristiche del mercato del lavoro di riferimento, con i suoi specifici trend occupazionali e professionali. Viene così creata una mappa delle opportunità (che tiene conto anche degli incentivi all’occupazione e dell’offerta formativa) ed assieme al beneficiario si definiscono le attività propedeutiche all’inserimento lavorativo.

Questo lavoro di rilevazione di informazioni è una parte essenziale e strategica del processo di incontro tra domanda e offerta di forza lavoro ed ovviamente deve valere sia da un lato che dall’altro del Mercato del Lavoro. Le moderne tecnologie informatiche di trattamento delle grandi quantità di dati, ci permettono oggigiorno - nell’incrocio delle informazioni provenienti dalle imprese e dai lavoratori - di andare ben oltre la definizione di elementari informazioni sul settore economico, profilo professionale, tipologia contrattuale, orario di lavoro, titolo di studio, eventuale abilitazione, patente posseduta e lingue parlate; l’incrocio Domanda / Offerta non è tanto un problema di piattaforme, quanto di raccolta ed immissione di dati che entrino nello specifico delle attività da svolgere, degli strumenti da utilizzare, delle conoscenze apprese e delle capacità di applicarle nei contesti lavorativi, delle competenze acquisite.

I Navigator hanno iniziato - attraverso il progetto MOO - l’attività di contatto e rilevazione puntuale di queste informazioni, presso quelle imprese che decidono di aderire in maniera volontaria. L’attività è stata capillare lungo tutto il territorio nazionale e volta ad acquisire informazioni non solo sui posti di lavoro vacanti ed immediatamente disponibili ma anche sulle opportunità occupazionali di medio e lungo periodo per la definizione dei piani occupazionali d’impresa.

C’è da dire che il livello di partecipazione delle imprese non è stato così significativo da poter parlare di una vera svolta; possiamo considerarlo un’attività pilota verso un utilizzo esteso da parte di tutte le aziende italiane non solo private. Infatti anche la mappatura dei piani occupazionali del settore pubblico e parapubblico sarebbe importante che rientrasse in questo sistema unico di rilevazione.

Questa esperienza sarà certamente utile in futuro per un’attività imprescindibile di rilevazione ed immissione di dati anche dal lato dell’offerta di forza lavoro, col fine di poter avere in uso effettivamente un sistema di rilevazione dei gap formativi e di mappatura delle opportunità occupazionali. Su quest’ultima attività di mappatura, ritengo essenziale la prerogativa affidata ai servizi pubblici per il lavoro (in Italia decisamente penalizzati rispetto agli investimenti presenti nelle altre nazioni occidentali, questo in virtù di una asserita maggiore efficienza ed efficacia dei servizi privati) nell’ottica di poter garantire a tutti i lavoratori pari accesso alle informazioni e pari opportunità di potersi adeguatamente candidare alle offerte di lavoro.

Tornando al processo previsto dall’attuale normativa per il RdC, una volta che il Patto per il Lavoro è sottoscritto dal percettore, il Navigator ha il compito di aiutare i Centri per l’Impiego a:

- organizzare incontri di verifica delle azioni svolte dai beneficiari;

- fornire ai beneficiari supporto operativo e motivazionale;

- verificare il rispetto della normativa e degli impegni assunti dai beneficiari;

- organizzare laboratori di ricerca attiva del lavoro e a scegliere strumenti e metodologie per condurli al meglio.

Se per lo specifico lavoratore non si rileva il bisogno di attivare qualche preliminare politica attiva (per potenziarne le competenze professionali, perché ritenuto non pronto per l’attività di ricerca del lavoro) allora la procedura prevede che Anpal attribuisca al beneficiario l’Assegno di Ricollocazione commisurato all’indice di occupabilità del soggetto. A partire da tale momento l’utente dovrà scegliere - tra le varie agenzie private per il lavoro ed i CPI - da chi vuole essere assistito tramite il Programma di Ricerca Intensiva del lavoro. Anche nella definizione del programma previsto nell’ambito del servizio di assistenza alla ricollocazione, i CpI vengono assistiti dai Navigator.

L’ultimo step è costituito dalla proposta al beneficiario di una offerta congrua di lavoro. CpI e Navigator lavorano per:

- cercare e selezionare le opportunità più adatte per ogni singolo beneficiario;

- fornire consulenza ai referenti aziendali su possibili soluzioni contrattuali, incentivi e agevolazioni;

- supportare le aziende tramite un’attività di preselezione;

- monitorare l’andamento del rapporto lavorativo e la soddisfazione di beneficiari e aziende.

La congruità è determinata da vari requisiti che deve possedere l’opportunità lavorativa proposta:

  • reddituali,

  • di attinenza con le proprie competenze professionali (requisito legato alla anzianità di disoccupazione),

  • di lontananza dalla propria residenza (correlata all’anzianità di percezione dell’aiuto),

  • contrattuali (durata di almeno tre mesi, con orario non inferiore al 80% dell’ultimo contratto sottoscritto).

In considerazione della previsione normativa che vincola il meccanismo della condizionalità al contestuale percepimento del sostegno economico (oltre al fatto che nella determinazione dell'offerta congrua è elemento indispensabile la conoscenza del parametro dell'anzianità di percepimento), appare fondamentale l'accesso al database INPS da parte dei soggetti deputati al monitoraggio degli assistiti per l'acquisizione delle informazioni di stretto interesse; ancor più se consideriamo che gli stessi utenti hanno diffuse difficoltà di accesso a informazioni sulle loro pratiche INPS a causa di un gap non solo tecnologico e lamentano di quanto sia complicato acquisirle per il tramite del call center INPS.

Altri problemi - legati alla strumentazione a disposizione o meno dei Navigator - si sono manifestati anche in relazione all’accessibilità (che varia a seconda della Regione nella quale opera il collaboratore) dei Sistemi Informativi del lavoro da remoto, pure per quanto riguarda l’utilizzo della piattaforma nazionale MyAnpal. A dirla tutta, MyAnpal avrebbe agevolato il lavoro qualora fosse stata utilizzata con una certa partecipazione da parte di imprese (per l'inserimento delle loro vacancy) e dai candidati (attraverso l’inserimento dei loro CV), ma così finora non è stato.

Questo ha comportato - nell’organizzazione del proprio personale lavoro - la necessità per ogni collaboratore di dotarsi di propri strumenti di monitoraggio e registrazione da alimentare manualmente e da implementare ed aggiornare di volta in volta con l’emergere di nuove esigenze, con conseguente notevole dispendio di tempo a scapito delle altre attività. Su questo ha certamente pesato la natura del rapporto di collaborazione di tale lavoro.




IDEA PROGETTO

E’ vero che le difficoltà in tema occupazionale sono un problema che non necessariamente si accompagna a quello della povertà, ma non per questo le politiche di attivazione devono prescindere dall’affrontare in maniera integrata quei temi che maggiormente pesano sul tema “lavoro”.

L’idea di partenza di questa idea/progetto è comunque quella di rimediare alle difficoltà e discrezionalità - emerse con la misura RdC - nell’identificazione delle situazioni di svantaggio da tutelare, con la proposta di un’unica domanda di sussidio per l’intero perimetro degli abili al lavoro, ma che in questo caso non generi a favore dei percettori un canale riservato di accesso a politiche di attivazione al lavoro.

Si prende spunto dall’esperienza dei distretti socio-sanitari, per proporre una integrazione tra i servizi del lavoro, sociali e sanitari, col fine di definire il profilo di vulnerabilità - del soggetto non assistibile dai servizi privati per il lavoro - sulla base degli esiti di una valutazione professionale da parte di ciascun operatore (ognuno per la propria area di competenza). In tal modo si avrebbe una presa in carico unitaria al fine di ridurre sovrapposizioni, passaggi formali e nel complesso offrendo un servizio coerente ed efficace; ciò richiederebbe la definizione di aspetti tecnico organizzativi che prevedano la condivisione quotidiana di strumenti e procedimenti, dove ognuno realizza una parte del progetto, in reciproca interazione con le attività degli altri.

Il tutto tramite l’utilizzo, da parte del servizio integrato, di una piattaforma progettata per fornire un riferimento informativo unitario dell’assistito, capace di rappresentare la persona nella sua globalità ed in maniera dinamica lungo il percorso di assistenza.

La presa in carico integrata avrebbe gli stessi passaggi già visti con la misura RdC:

  • acquisizione, informazione e valutazione dei bisogni dell’utenza;

  • elaborazione del programma personalizzato e stipula del Patto;

  • attivazione dei servizi ivi previsti;

  • monitoraggio, verifica ed eventuale riprogettazione.

Grazie alla sistematicità, omogeneità ed affidabilità delle informazioni inserite in tale piattaforma si agevolerebbe la riprogrammazione dei progetti stessi.


Ma il servizio pubblico integrato deve essere in grado di coinvolgere un‘intera rete locale di operatori, dove ognuno (cooperando secondo una cultura di “rete”, nel perseguimento dell’obiettivo comune) assume un ruolo specialistico, coerente col proprio obiettivo costitutivo, nella condivisione in rete di una infrastruttura informatica. Tale condivisione non può prescindere dal coinvolgimento dei CPI, dell’INPS, ApL, Enti di Formazione, Istituti di Istruzione, Patronati, ma anche di altre organizzazioni come le associazioni datoriali e l’Ordine Nazionale dei Consulenti del Lavoro, associazioni e Soc. Coop. Soc.

Oltre questa rete stabile, per la soluzione di casi specifici, può essere previsto il coinvolgimento di ulteriori soggetti.


I Centri Per l’Impiego costituiscono l’avamposto dei servizi pubblici per il lavoro, rappresentano quell’interfaccia che sul territorio deve dialogare con i diversi attori del mercato del lavoro. Hanno una preziosa distribuzione lungo il territorio nazionale che deve essere preservata, ma questo non a scapito dell’uniformità di servizio da garantire a tutti i fruitori, a prescindere dalla collocazione geografica. In quest’ottica si dovrebbe valutare la possibilità di tramutare alcuni CPI in sedi distaccate, dipendenti da sedi più strutturate alle quali l’utenza possa rivolgersi per usufruire di servizi più complessi, affinché tali centri possano svolgere - non un mero compito burocratico - ma una funzione di contatto con le realtà territoriali ed un ruolo propulsore dal quale poi derivino gli indirizzi in materia di formazione e promozione di esperienze professionali, di finanziamenti e incentivi per il lavoro.

Allo stesso tempo i CPI devono conservare e potenziare le loro funzioni di orientamento di base e certificazione delle competenze dei lavoratori, i servizi per le imprese di preselezione del personale e gestione dei tirocini, orientamento per l’autoimpiego ed autoimprenditorialità, tenere ed aggiornare repertori e liste utili per la formazione e la ricerca del lavoro, stilare e pubblicare report utili per la formazione e la ricerca del lavoro.


La qui descritta IDEA/PROGETTO prende avvio dal presupposto che l’efficacia di un programma in materia di lavoro, non possa - come già detto - prescindere dall’affrontare i tre temi: 1) della scarsità di opportunità lavorative in Italia nel suo complesso, 2) dei gap formativi tra i requisiti richiesti per una data opportunità lavorativa ed i candidati alla stessa, 3) della disponibilità di strumenti che consentano una adeguata partecipazione della popolazione in età attiva alle dinamiche del mercato del lavoro.

Il discorso dovrebbe essere abbastanza chiaro; se manca uno qualunque dei tre “ingredienti” (posto di lavoro vacante, adeguata formazione disponibile per quell’occupazione, forza lavoro disponibile per quell’ impiego), gli altri due non sarebbero sufficienti per raggiungere il risultato occupazionale; al quale bisogna tendere trattando tale tema non come corollario della povertà, ma sulla base delle sue proprie caratteristiche che necessita strumenti ad hoc.

D’altronde un componente di una famiglia che - magari per questioni legate alla sua composizione demografica - rientra nella fascia di povertà, non per questo automaticamente deve far parte della categoria di persone che hanno bisogno di particolari sostegni nella ricerca del lavoro. All’opposto, un componente di una famiglia del ceto medio, potrebbe invece aver bisogno di un sostegno in campo lavorativo per evitare di cadere nella fascia di povertà.


Punto nevralgico è dato dal cosiddetto matching tra le caratteristiche del posto vacante e quelle del candidato all’impiego; non è un problema di piattaforma, quanto della qualità di informazioni inserite in essa, che devono scaturire tanto dal piano occupazionale e vacancy delle imprese che dal profilo dei lavoratori. Una adeguata formazione professionale della forza lavoro finalizzata alla riduzione del divario tra professionalità richieste dal tessuto produttivo e professionalità offerte dai lavoratori richiede che - su entrambi i fronti del mercato del lavoro - si sviluppi un lavoro di rilevazione professionale, puntuale ed integrale. Integrale perché deve coinvolgere tutte le aziende e tutta la forza lavoro; puntuale perché l’attività deve essere monitorabile; professionale perché i dati inseriti nel sistema devono essere completi e conformi a determinati standard.

Per ottenere questo risultato è necessario che tutte le assunzioni passino per il tramite di una piattaforma che deve (pena la perdita di un incentivo o il pagamento di una penale) essere utilizzata da una parte per l'inserimento della candidatura del lavoratore e dall’altra per l’inserzione della vacancy dell’azienda.

Dalla certificazione delle competenze effettuata dal CPI deve trarre origine (da parte dell’ufficio che ha in carico l’utente, nell’erogazione del servizio di accompagnamento al lavoro) l'immissione nella piattaforma nazionale dai dati professionali dei candidati.

L’inserimento nella medesima piattaforma del piano occupazionale - con aggiornamento trimestrale - verrebbe fatto direttamente dall’azienda (che gestisce internamente l’ufficio del personale) oppure dal consulente del lavoro incaricato. Ciò permetterebbe all’azienda di utilizzare ed aggiornare i dati ricavati dal piano nel momento in cui dovrà pubblicare la specifica vacancy, così da evitare di dover precipitosamente provvedere all’inserimento di tutta una serie di dati in tempo per formalizzare una impellente assunzione. I dati della vacancy - sempre all’interno di tale piattaforma informatica - potranno a loro volta essere utilizzati ed aggiornati per la Comunicazione Obbligatoria, che costituirà parte integrante del contratto di lavoro e servirà per il monitoraggio e la certificazione delle competenze acquisite durante il rapporto di lavoro.


Passiamo a descrivere il meccanismo dell’IDEA/PROGETTO; chi non se la sente di partecipare alle PAL (cioè non è interessato a lavorare in una determinata fase) - ma intende comunque richiedere il sussidio - deve rivolgersi al Servizio Pubblico Integrato multidisciplinare, che sotto la direzione dell’operatore sociale responsabile del progetto lo indirizza al soggetto titolare del Progetto di Utilità Collettiva individuato e concordato; in questa idea-progetto i titolari non sarebbero i Comuni (per mero calcolo elettorale solitamente poco propensi al monitoraggio delle attività di questi soggetti) ma le associazioni di volontariato del territorio, affinché vi sia un effettivo processo di inclusione sociale. Ognuno percepirebbe il sussidio in relazione alle effettive e prestabilite ore di servizio volontario - con una maggiorazione per coloro che hanno presentato domanda dopo aver perso involontariamente il lavoro (maggiorazione riconosciuta per un periodo proporzionato al lavoro svolto negli ultimi 4 anni) - con la previsione di decadenza dal beneficio in caso di mancata osservanza delle regole di condotta insite nel Patto di Inclusione.


Invece, tutti coloro che sono interessati possono partecipare alle PAL (rivolgendosi ai CPI del domicilio da loro eletto).

Se ne ricorrono i requisiti economici essi possono anche richiedere di accedere non solo ad un sussidio mensile per le “spese correnti” ma - nel caso fosse richiesto dall’interessato – pure ad un sussidio “una tantum” (parte a fondo perduto e parte da rimborsare) sulla base di valutazione ad hoc di suoi specifici bisogni da parte del Servizio Pubblico Integrato multidisciplinare.

Tale sussidio per le “spese correnti” sarebbe superiore rispetto al “sussidio base” percepito dai partecipanti ai PUC, distinto tra: quello intermedio A (per coloro che vogliono accedere ai percorsi finalizzati alla ricerca di un lavoro maggiormente appagante) e quello più elevato B (per coloro che sono invece immediatamente disponibili al lavoro con l’accesso ai progetti finanziati).

In questa fase il CPI dovrebbe provvedere alla certificazione o aggiornamento delle competenze ed all’orientamento di base.


Gli utenti del primo gruppo A (cioè coloro che aderiscono ai percorsi volti alla ricerca di un lavoro maggiormente appagante) vengono inseriti in un database - che riporta gli esiti di tale certificazione delle competenze - alla quale accedono periodicamente le Agenzia per il Lavoro private, che attivano il servizio di accompagnamento al lavoro sulla base di un sistema di ranking (col fine di spingerle ad operare in maniera più capillare lungo il territorio italiano) secondo il seguente schema: sono loro a scegliere a turno i propri candidati da una rosa di profili messa a disposizione dallo specifico CPI, avviando tale selezione attraverso una scelta per volta, partendo dall’Agenzia col miglior ranking per finire con quella peggiore e ripetendo questo procedimento da capo finché tutte le agenzie non hanno terminato le loro scelte. Per i candidati non selezionati da alcuna agenzia, le stesse possono - sempre con lo stesso sistema di turnazione – fissare una prelazione per future candidature rispetto alle altre agenzie, indicando quelli che ritengono siano i punti da potenziare nel candidato. Nel frattempo verrebbero comunque assistiti e monitorati dal Servizio Pubblico Integrato multidisciplinare sotto la direzione dell’operatore del lavoro ed affidati alle attività di orientamento specialistico svolte dal Team di Navigator.

Questi provvedono - anche per il tramite della loro rete nazionale di Team - ad indirizzare l’utente ad uno specifico ente erogatore a seconda del bisogno (formativo, di istruzione, di qualificazione) e di monitorare l’effettivo impegno del partecipante ed il raggiungimento degli obiettivi. Anche in questo caso verrebbe riconosciuta una maggiorazione (per coloro che hanno sottoscritto il Patto di Servizio dopo aver perso involontariamente il lavoro) per un periodo proporzionato al lavoro svolto negli ultimi 4 anni.


Gli utenti del secondo gruppo B (cioè coloro che invece chiedono di partecipare ai progetti finanziati) possono appartenere a due distinte categorie: quelli indirizzati - tramite il Servizio di Orientamento di Base - ai servizi di autoimpiego del CPI (per l’assistenza nei contatti con gli incubatori di impresa) e quelli indirizzati ai Team dei Navigator (per l’inserimento nei progetti finanziati delle Cooperative Sociali).

Gli utenti seguiti dai servizi di autoimpiego del CPI - se in possesso dei requisiti economici ed una volta che il loro progetto presentato al finanziamento è ritenuto ammissibile dall’incubatore di impresa – possono beneficiare del sussidio periodico finché la loro attività autonoma non entra a regime. Anche in questo caso (come pure nell’ultimo caso successivamente illustrato) verrebbe riconosciuta una maggiorazione, per coloro che hanno sottoscritto il Patto di Servizio dopo aver perso involontariamente il lavoro, per un periodo proporzionato al lavoro svolto negli ultimi 4 anni.

Gli utenti invece desiderosi di essere inseriti come soci nelle Società Cooperative Sociali (assistite dal Team di Navigator per i Progetti di Formazione Permanente), finchè non vengono selezionati dal CPI per essere contrattualizzati sulla base delle loro competenze, vengono seguiti dal Servizio Integrato sotto la direzione dell’operatore del lavoro ed affidati alle attività di orientamento specialistico svolte dal Team di Navigator.

Finché non entrano nella compagine sociale di una Soc.Coop.Soc. e se ne hanno i requisiti economici percepiscono il sussidio B (quello di grado più elevato) con eventuale maggiorazione - se hanno sottoscritto il Patto di Servizio dopo aver perso involontariamente il lavoro - per un periodo proporzionato al lavoro svolto negli ultimi 4 anni.




CONCLUSIONI

Posto che in un contesto di economia di mercato incapace (senza adeguato intervento della “Mano Pubblica”) di assorbire la forza lavoro di un dato paese e con un sistema formativo che non risponde ai contenuti professionali richiesti dal mondo delle imprese neppure le più efficaci politiche di attivazione potrebbero risolvere il problema occupazionale di un paese.

Nell’attuale contesto è essenziale che ogni attore faccia la sua parte; questo al di là della presenza o meno degli effetti della pandemia o di una utenza con basse competenze professionali.

E necessario che vadano di pari passo:

  • un sistema che generi occasioni lavorative ed esperienze professionali di contrasto alla disoccupazione di lunga durata;

  • la garanzia di livelli adeguati di servizi di attivazione al lavoro;

  • una organizzazione che faccia emergere le esigenze di professionalità del sistema delle imprese e che finanzi appunto la formazione di quelle competenze richieste.


Nell’idea-progetto sopra illustrata non si prevedono - per l’accesso ai servizi di Politica Attiva del Lavoro - corsie preferenziali per particolari tipologie di utenza (fatte salve le agevolazioni in campo contributivo), evitando possibili condizioni discriminatorie di accesso ai servizi per il lavoro.

Inoltre si lascia all’individuo la libertà di scelta del canale da intraprendere, dunque se dedicarsi ad attività non lavorative di supporto al volontariato oppure impegnarsi attivamente per il lavoro (per la sua ricerca, o per il potenziamento delle competenze, oppure per intraprendere un’attività autonoma o imprenditoriale, altrimenti per mettere immediatamente la propria opera a disposizione delle Società Cooperative Sociali), così dando per assunto che entrino in gioco dinamiche di aggiustamento che conducano le persone nella appropriata collocazione.

Visto il coinvolgimento di diversi attori nella stessa misura del RdC - ma pure nelle PAL in generale - e vista la natura della nuova figura professionale del Navigator di attivatore di reti e di attivatore della forza lavoro nel MdL, sarebbe più opportuno prevedere la collocazione operativa dei Navigator stessi all’interno di istituzioni (i Servizi Integrati) che per loro mandato già svolgono un ruolo cardine di incontro e collaborazione di istituzioni diverse.

In tal modo avremo l’integrazione all'interno di un unico organismo dei servizi sociali comunali, dei servizi sanitari regionali e di servizi per il lavoro sotto controllo ministeriale.

E visto che l’INPS è l’istituto incaricato di gestire una gran mole di pratiche assistenziali, per l’efficace presa in carico dell’utente percettore di tali sostegni, diverrebbe strategicamente importante la gestione - presso i Servizi Integrati - dei cosiddetti “Punto Cliente di Servizio INPS” da parte degli stessi “Team dei Navigator”.

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